Lanza è siciliano. Questa notizia, anche se non si
sapesse che Francesco Lanza è nato a Valguarnera, in quel di Castrogiovanni,
patria di Giovanni Gentile [l’autore dell’articolo confonde con ogni
probabilità Gentile con Napoleone Colajanni, ndr] sarebbe egualmente sicura
sol che si ricordassero i suoi Mimi siciliani che i lettori della
Fiera conoscono quasi tutti per averli letti in Cambusa1 non
senza divertirsi, come si sa per prova. Può invece riuscir nuova a moltissimi
la notizia che Lanza, pur essendo siciliano e laureato il legge, non fa
l’avvocato, né s’è avviato per una della carriere amministrative che sono i
canali collettori nei quali la borghesia meridionale generalmente spedisce a
falangi i propri rampolli. Dottore in legge, Lanza fa l’agricoltore e ora s’è
messo anche alla professione di negoziante, vendendo gesso e calce idraulica.
Però, avendo il delizioso bacillo delle lettere, che in certi casi bisogna
curare o coltivare con molta attenzione, a scanso di inconvenienti gravi,
Francesco Lanza, da uomo pratico e versato nei traffici qual è, s’è regolato
col proprio parassita in un modo che non poteva migliore: curando a farlo
crescere con giudizio, e solo in certe ore della giornata, quando alle fatiche
dell’aratura o della mietitura occorreva un po’ di riposo, un po’ d’otium. Appunto
come frutto di otia, nel senso più mediterraneo e latino e, se si vuole,
ciceroniano della parola, sono nati i suoi Mimi che pubblicherà presto
la casa Alpes. La quale darà alla luce, e anche presto, una favola ariostesca
in tre atti del medesimo autore, diciamo
Fiordispina.
Ma gli ozi letterari del Lanza non si sono
limitati a questi lavori. Nel 1923, senza saperlo, ha collaborato alla riforma
Gentile compilando, per incarico di Giuseppe Lombardo-Radice, il primo Almanacco
per il popolo siciliano, (Ed. Associazione per il Mezzogiorno), gemma e
modello di tutti gli Almanacchi regionali, passati, presenti e futuri, entrati
ormai in uso, dopo la riforma, in tutte le scuole elementari del Regno. L’anno
scorso poi l’editore Berlutti ha pubblicato un volumetto di liriche del nostro
autore: Poesie di gioventù, di fresca vena; le quali, tenuto conto dei
successi cui oggi possono aspirare i libri in versi, ebbero un bel successo. E
buon successo ha avuto un suo atto unico: Corpus Domini che gli ha
rappresentato Bragaglia nello scorso febbraio. Inoltre, e farà meraviglia che
un agricoltore e negoziante di gesso abbia tanto tempo per scrivere, Lanza ha
già pronto un altro volume: Racconti del mio pagliaio, di cui fa parte
questo Re porco che noi pubblichiamo [nello stesso numero del
giornale, ndr], e prepara una fiaba popolare in cinque quadri, Il mortaio d’oro, e Dama Rovenza, tragedia
in tre parti, che non è rappresentabile. Non contento di ciò, Lanza va già
scrivendo certi Appunti per un romanzo di costume [con ogni
probabilità ci si riferisce al romanzo Vita e miracoli di Giustino Lambusta
che sarà pubblicato postumo, ndr] costituito di ritratti e d’intrecci
banali di paese, dove egli filtra il meglio dell’umorismo nostrano che
scintillava nei Mimi. Per dir tutto infine, egli collabora al Tevere e
alla Fiera, cosa quest’ultima abbastanza evidente; i suoi compaesani di Valguarnera e gli amici
di Roma e di Milano (ma questa non è una notizia così sicura come la prima) gli
stanno preparando solenni feste per celebrare il suo trentesimo anno di età che
cade il 5 luglio prossimo. Noi gli mandiamo personalmente gli auguri.
G.T.R.
(La Fiera Letteraria, 27 giugno 1927)
1. Ecco alcuni mimi tratti da due Cambuse pubblicate dalla Fiera del
21 marzo e dell’8 agosto 1926 (clicca
sulle date)
[L’ affettuoso ritratto, nel prendere ironicamente di mira la straordinaria prolificità di Francesco Lanza, gli attribuisce impropriamente la qualifica di agricoltore. La raccolta Racconti del mio pagliaio non fu portata a compimento; alcuni dei racconti cha avrebbero dovuto comporla furono ritrovati tra le carte dello scrittore e pubblicati postumi. Il mortaio d’oro e Dama Rovenza rimasero allo stadio di progetto. Dietro la sigla G.T.R. si cela il letterato abruzzese Giovanni Battista Rosa, noto come Giovanni Titta Rosa. EB]