LA PAGINA NERA DI FRANCESCO LANZA
Nel 1930 l’attività giornalistica dello scrittore valguarnerese
non conosce soste; nulla lascia prevedere il crollo, da cui non si riprenderà
mai più, dell’anno successivo. Pubblica sull’Italia Letteraria, sull’Ambrosiano,
sulla Gazzetta del Popolo e soprattutto sul Tevere, al quale
collabora ormai da tre anni. Telesio Interlandi, il direttore del quotidiano romano, convinto
che la prosa del corregionale conferisca “dignità e
scarna bellezza” al suo giornale, gli affida “molti e diversi compiti”.1 Anche quello di inviato speciale. A fine
primavera, Lanza è in Sardegna (ma il servizio si
limita alla descrizione dell’arrivo a Cagliari e a una
breve fantasia suggerita dal folclore isolano). Due giorni dopo
la pubblicazione di questi articoli, a partire dal 12 maggio, è la volta di una
serie di corrispondenze dalla Toscana, a copertura del viaggio che vi sta effettuando Mussolini. E forse
proprio in questo incarico vanno ricercate le ragioni
dell’aborto sardo: Interlandi sa bene che il Tevere
è uno dei giornali su cui maggiormente si sofferma l’interesse del duce durante
la rassegna stampa mattutina e ritiene opportuno coinvolgere il meglio di cui
dispone in redazione. (Con ogni probabilità – apro e rapidamente chiudo
questa parentesi – a quei giorni va fatto risalire il mussolinismo
che spinge Lanza a desiderare di “vedere se con un
po’ di fascismo bene applicato non sia possibile insegnare un po’ di civiltà ai
villanzoni del circolo, dei feudi e delle farmacie”2).
A giugno, Interlandi invia Francesco Lanza
in Romania. Perché in un paese che non stimola più di
tanto l’interesse dell’opinione pubblica? Nessuno, che io sappia, si è mai
posto questa domanda. Facciamolo adesso nella speranza di trovare una risposta
convincente. Nel 1930 la Romania è forse il paese più antisemita d’Europa. Vi
opera il fascista violentemente antisemita Codreanu e
soprattutto il maestro di questi, Alexandru Cuza, professore di economia
all’Università di Iasci,3 il quale, alla testa del Partito Nazional Democratico, si prefigge l’eliminazione degli
ebrei dalla vita politica ed economica del paese. Cuza,
che era stato tra i fondatori della cosiddetta Alleanza Antisemita Universale,
si vanterà di aver preceduto Hitler su questo
terreno. Interlandi sceglierà, com’è noto, nel 1933
di giocare la carta di quell’antisemitismo duro che
sfocerà nell’ignobile Difesa della razza e spianerà la strada alle leggi
razziali; ma chi può escludere che già nell’estate del 1930 non stia
cominciando ad oliare il proprio lugubre armamentario al fine di smuovere le
acque del regime, in questa materia stagnanti?
Francesco Lanza invia dai Carpazi tre corrispondenze che vengono pubblicate, con cadenza quindicinale, a partire dal 14 luglio. Non conosciamo l’itinerario reale del suo viaggio, ma la scelta delle località oggetto degli articoli pone qualche interrogativo. Si inizia con Galazi dove Lanza tratteggia una serie di bozzetti che intendono trasmettere al lettore quel tanto di pittoresco che egli trova nella città portuale, suo primo approdo, se era arrivato via nave, in terra rumena. Poi è la volta di Cernaùzi, che sembra essere il vero obiettivo del viaggio, ed infine la località petrolifera di Moreni, dantesca ferita inferta ad un paesaggio bucolico. Sono escluse, come si vede, le tappe canoniche del tour romeno, dalla capitale alla Transilvania.
Cernaùzi (oggi Chernovtsy in Ucraina) non si trova sulle rotte più frequentate, bisogna andarci apposta. Cosa può aver indotto l’inviato Lanza a recarvisi se non il fatto che fosse la città ebraica per antonomasia? E’, infatti, sulla comunità ebraica, descritta con gli occhiali deformanti del razzismo, che si sofferma in particolare la sua attenzione:
“Intorno
c'è che il brulichio denso e incessante degli ebrei :
si ha l'impressione che muovano lentamente, da ogni parte, all'assalto della
città, sgretolandola ai margini, come fanno le formiche d'un mucchio di
frumento. Hanno provato la scudiscio russo, il bastone
tedesco, il disprezzo romeno, il fuoco, lo stillicidio della piccola lotta
antisemita che da Iasci dirige il professore Cuza: ma è un flit che non serve a niente.
Indistruttibili e pervicaci come le mosche depongono le loro uova fra le
immondizie del ghetto, riempiono le insegne di nuovi Aronni,
Isacchi, Mosè, Ezechieli, Giacobbi, aprono ad una ad una, come posti avanzati, dai quartieri eccentrici a via Flondor che serba tuttavia la sua malinconica ed appartata
eleganza, le botteghe di tricotarje, d'abiti vecchi sciorinati fin nel mezzo della, strada,
di sete ricamate, di delicateze, di fiori, di frutta, d'oggetti chirurgici ed ottici, le
farmacie, i ristoranti le agenzie di viaggio e di commissione avviano sulle
acque del Prut al Danubio i barconi carichi di
legname, di mattoni e di tegole, filtrano insensibilmente il torbido e la
passività avida e corrosiva della loro razza nell'esercito e nei pubblici
uffici; spingendosi in su, piantano sulla cupola della grande Sinagoga, proprio
di fronte alla Residenza Metropolitana, il sigillo scintillante di Salomone,
come un segnacolo di riscossa.
La
piazza del mercato alto, dinanzi il teatro Nazionale in cui la compagnia di
Stato prova i drammi di Caragiale, risuona tutto il
giorno del loro vocio. Per un leu non si sa più che
cosa sono capaci di darvi. Sedute per terra, davanti alle stie piene di polli, ai falsi tappeti della Bessarabia, agli oggetti in legno,
ai mucchi d’abiti vecchi impregnati di naftalina e di benzina, le ragazze
lanciano gridi collerici e disperati come la fame. Il
venditore di paperi, in camiciola, gira come un fantasma con un grido gutturale
simile a quello delle bestie che porta sotto le ascelle. In questo
pittoresco e soffocante cafarnao splendono a un tratto i più begli occhi della Bucovina,
i sorrisi più vellutati; s'incontrano i più lerci rabbini e lettori,
impolverati di forfora dalla testa ai piedi, e i più maestosi, col peso di
tutto l'antico testamento sulle spalle, la lunga barba mosaica
sul petto e l'occhio obliquo e tumefatto, come quello dei cadaveri, dietro gli
occhiali d'oro a stanghetta, nelle carrozzelle i neonati di men
basso conio, dalla mutria di nibbio implume, espongono bellamente al sole, sopra
un pannolino, la recente circoncisione. In basso, dietro la zona degli opifici
dove tra i susini e i meli si nasconde, come una
capanna, la piccola chiesa in legno innalzata da Stefano il Grande, il ghetto
s'ammucchia disordinatamente, spruzzato di calce come un carnaio, tagliato in
sudice fette dai cortili e dalle viuzze, dai cenci messi ad asciugare, dalle
mascalcie e dalle fucine de’ calderai all'aperto
dietro un semplice riparo di lamiera o di tavole. Negli antri di legno gli
uomini s'annidano come le pulci in una calza, con la stessa precaria
pertinacia, in quattro per ogni tettuccio. C'è un miserabile lezzo di pollaio,
un senso d'esodo fermo in una pattumiera. Uno scossone basterebbe
a buttar giù il mucchio sordido e cascante delle case, delle vie, dei cortili,
ma questi esseri dal volto uguale, collettivo, vi sono radicati più
delle rocce nel deserto. Sotto i carri e nelle stie, invece dei polli si
pigiano i bambini, vi dormono, come morti, la maggior parte del giorno. Nel
piccolo mercato, i pesci e le carni sanguinolenti marciscono lentamente sui tavoli, sotto i nugoli di mosche,
ammorbando l'aria. Per un occulto potere, questo sole cocente decompone i
mucchi di cipolle, d'agli, di frutta, la calce e il
legno delle case, le pietre, l'anima stessa della razza”.4
Sono parole che mai ci
si sarebbe immaginato di trovare nella candida bocca
del mite scrittore di Valguarnera. Lanza qui, come si vede, non si fa scrupolo di attingere a
piene mani pregiudizi tra la paccottiglia antisemita; perché? Non pare vi siano dubbi sul fatto che l’inviato abbia eseguito
con zelo le direttive del proprio direttore; magari dopo essersi fatte
rinfrescare le idee da Alexandru Cuza,
visto che bisogna passare da Iasci quando da Galazi ci si reca a Cernaùzi. Qualche mese dopo, Lanza
effettuerà il celebre viaggio in URSS avendo come
guida Otto Pohl, il diplomatico austriaco di
religione ebraica che aveva scelto la rivoluzione socialista. Francesco
conserverà di lui un ottimo ricordo5 ed
avrà con la figlia Annie un felice rapporto di
lavoro. Antisemita in pubblico, ma non in privato. Un chiaro
caso di nicodemismo, la sindrome opportunista che
durante il ventennio infierì tra gli intellettuali italiani.
(Articolo apparso per la prima volta su www.paroledisicilia.it , dicembre 2006)