LA FESTA DI SAN CULO

 

 

            Quella giornata a Montagna di Marzo eramo [sic, ndr] io, Angeluccio, Maso e Santone, e lassù, incontrato il Gattuffo, ch’era a caccia per conto suo, ce lo facemmo della compagnia. Si sparò quanto si volle nella mancogna [sic, ndr] che i conigli ballavano come grilli, e più se n’ammazzava più il furore non ci passava.

            Arrivati alla Pietra Grossa, Santone getta il suo furetto nella tana grande, che ha due o tre sventagli di fila, e mentre lui sta sotto per la bisogna, noi tutti allineati di sopra, col fucile pronto e il fiato stretto in mezzo ai denti, senza pipitare, stiamo all’erta, intendendoci cogli occhi meglio che con le parole. Maso al solito suo, con la canna della pipa in bocca, tirava nuvole di fumo, arricciando il muso che pareva un cul di ciuco; e quando gli scappava di schiarirsi la gola restava là fulminato dalle nostre occhiate, e sputacchiando di traverso filava fumo come un fumaiolo. Quando si stette muti e allampanati non so più, e a ogni moto d’impazienza, subito Santone di sotto ci faceva con gli occhi che il coniglio sbucava, e sventolando le mani con appositi gesti ci diceva che c’era lotta, che il furetto aveva acculato il coniglio e ci mettessimo attenti di qua o di là.

            Angeluccio intanto cominciava a levar l’anca e, figlio d’un cane, li stringeva e li affilava così che parevano guaiti di coniglio, e Maso tendendo l’orecchio faceva: -Sst, che è lui! – Il Gattuffo, ch’era all’indietro e li sentiva giusti, poco mancava che non scoppiasse a ridere, e li stava ad ascoltare a bocca aperta meravigliato di tanta perizia.

Minchia! – esclamò fra i denti non potendosi più tenere – o che ci ha in culo le canne dell’organo coi tasti?

Gli demmo sulla voce, e Santone cominciò a bestemmiare che con quel baccano il coniglio non usciva manco tirato per le orecchie.

            Basta, l’attesa era lunga e ci stancammo tutti; e Santone, al solito suo, andato in bestia giurava e spergiurava che era l’ultima volta che usciva con noi: quello non era modo di cacciare non già i conigli ma neppure le lucertole. – Senti, Santone mio – gli dico io di sopra – tira il furetto, che certo il coniglio non c’è. Se ci fosse, a quest’ora sarebbe sbucato come una saetta.

- E io vi dichiaro – fa lui sventolando quella sua pertica e mezzo di braccio – che a quest’ora l’ha scannato.

- Tanto meglio – risponde Maso – Vedi a che punto è e andiamocene.

Santone si ficca a metà nella bocca della tana, ch’era davanti, capace e con la volta tutta di pietra, e facendoci cenno di tacere sempre con quella mano di fuori, sta in ascolto, che sentiva, diceva lui, il furetto acculare il coniglio.

Noi zitti e Angeluccio che s’era tenuto per miracolo, alza risolutamente l’anca e ne comincia una tiritera filata e a cadenza che parevano i mortaretti di San Cristoforo. Il Gattuffo, che non aveva mai inteso una cosa simile, resta allocchito, e si fa la croce dicendo:

- Mamma mia, che son morto!

Maso arriccia di più il naso e comincia a ridere in sordina. con la canna stretta in bocca che la spezzava, e li andava contando, con sbuffi di riso tra i baffoni. Angeluccio imperterrito continua, che ne doveva avere un esercito; e io che ero abituato, gli facevo:

- Vediamo dove arrivi.

Nel vuoto della tana intanto dovevano rintronare a meraviglia e a un punto Santone leva fuori la testa, e bello e pacifico domanda:

- O che festa è oggi a Castrogiovanni con tutti questi mortaretti e bombe?

Maso non ne può più e con una risata sputa via la pipa, io mi scompiscio, e il Gattuffo, che è più confuso che persuaso, gli fa:

- La festa di san culo, caro don Santo!

Figuratevi Santone! Non lo potemmo più tenere, e quella fu l’ultima davvero che uscì a caccia con noi.

Il Selvaggio, 30 luglio 1927